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Uno strano peccato originale

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Non intendo entrare in terreni a me non pertinenti, anche se frequentati con certo interesse; quindi non mi addentro in questioni che hanno visto fior fiore di menti impegnarsi nel tentativo di capire e far capire che cosa mai sia, o sia stato, il peccato originale, che vivacizza già le prime pagine della Bibbia e di cui, sia pure con mutate sfumature, leggiamo anche in altri Libri fondativi di storiche religioni. Mi permetto, soltanto, di dare una personalissima lettura di quel “noir”, il primo fratricidio, che, credenti o non credenti, non può non farci riflettere sui perché delle discordie che hanno sempre accompagnato la storia dell’umanità.

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Per amore del vero, so che ci sono stati, anche in epoca lontanissima, episodi di vera fratellanza. Mi basti citarne uno: alcuni decenni or sono, è stato ritrovato, in Europa, lo scheletro di un uomo, vissuto migliaia e migliaia di anni fa, deceduto, secondo le metodiche scientifiche attuali di datazione, all’età di circa 35 anni. La cosa sorprendente è che quella persona verso l’età di quindici anni aveva subito un incidente, che le aveva causato la rottura della tibia di una gamba. La domanda, che sorprende gli studiosi, è: come è stato possibile che quella persona sia vissuta ancora per tanti anni in conduzioni di assoluto bisogno, quando non c’erano ospedali né case di cura?

La risposta unanime è questa: solo perché la comunità, a lui prossima, se ne è fatta carico, cioè se ne è presa cura. Potrei citare anche altri episodi simili, di cui ho personalmente raccolto traccia nel nord del Canada, tra comunità di origine islandese.

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Tuttavia, anche soltanto a scorrere i libri di storia che circolano nelle nostre scuole – oggi un po’ meno, ma fino a qualche lustro fa in modo quasi ossessivo – leggiamo fatti di guerre, ostilità, rivalità sia tra popoli che all’interno degli stessi popoli, arrivando addirittura all’ossimoro di parlare di guerra civile. Allora mi chiedo: come mami la guerra, che qui assumo come emblema di ogni tipo di contrapposizione violenta tra nazioni e tra persone, è stata il fil rouge che ha segnato tutti i secoli, almeno a partire dagli ultimi cinque millenni?

Rifacciamoci al primo fratricidio, quello di Caino verso suo fratello Abele, precisando che non intendo attribuire a questo “fatto” un carattere stoico, ma, come si diceva in Sociologia negli anni Settanta, il valore di “ipotesi zero”. Perché Caino decide di alzare l’arma contro suo fratello? Che cosa ci lascia capire il testo che ne riferisce? Leggiamo che Caino vedeva che il fumo dei sacrifici di suo fratello saliva verso il cielo, al contrario del fumo dei sacrifici che lui immolava. Dunque, Caino notava una diversità nei fatti, un esito diverso a fronte di una azione simile.

Quindi il detonatore è stata la diversità, che in lui si è tramutata in opposizione: se mio fratello fa cose diverse dalle mie, allora lui mi è ostile. Atteggiamento che egli ha ribadito perfino quando il Padreterno gli ha domandato conto di dove fosse il fratello, uscendo in quella risposta che ha dell’agghiacciante: sono forse io il custode di mio fratello? Come a dire: che c’è tra me e lui? Quindi, massima distanza, talmente massima da tradursi in ostilità. Il diverso è diventato nemico.

Semplicistica questa lettura? Dal punto di vista esegetico scritturistico, forse sì, ma ahimè talmente ricorrente nella storia dei secoli successivi da costituire la trama di comprensione di molte, troppe, pagine di storia mondiale, anche recente, anzi recentissima.

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A suffragare questa mia lettura vi è la riflessione di un filosofo dell’antica Grecia, Eraclito, vissuto tra il VI e il V secolo a.C. ad Efeso, nell’attuale Turchia, il quale, tra le altre cose, afferma che “polemos” è padre di tutte le cose.

Afferma anche altre importanti idee, tra le quali quella della perenne dinamicità di tutte le cose; ma ora mi soffermo sul concetto di polemos, che in greco vuol dire guerra. Secondo Eraclito, la contrapposizione spiegherebbe non solo l’andamento, ma perfino il senso profondo e vero di tutte le cose. Di solito si interpreta questa teoria basandosi su esempi e fatti osservabili da chiunque. Ad esempio, il chiaro ha bisogno dell’oscuro per essere capito, il bello del brutto, il buono del cattivo, la notte del giorno, e così via. Ma è proprio così?

A scorrere il percorso della filosofia, già solo un paio di secoli dopo Eraclito, troviamo che le cose si possono spiegare anche in modo diverso. Ecco la parola chiave: diverso. La diversità è quella posizione che non significa opposizione. Tra il bello e il brutto c’è tutta una scala di gradualità, di sfumature o, come direbbero i francesi, di nuances, per cui non è necessario affermare che una cosa o una situazione o è così o è in posizione diametralmente opposta.

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Pertanto ogni fatto, ogni situazione, ogni accadimento può assumere posizioni che non necessariamente confliggono tra di loro. Anzi, secondo la celebre idea di Aristotele, ripresa poi da tutta la logica successiva, solo due posizioni, tra le tante possibili, risultano tra loro contrapposte. Quali?

“Quelle che all’interno dello stesso genere sono tra loro massimamente distanti”. Esempio scolastico: all’interno della categoria (genere) colore, solo il bianco è contrapposto al nero, ma non il giallo o l’ocra o altri colori. Esempio più impegnativo: consideriamo il genere umano. In questo caso, dove stanno le contrapposizioni? Tra l’uomo bianco e l’uomo nero? O tra l’occidentale e l’orientale? O tra il ricco e il povero? Assolutamente no. L’unica contrapposizione è tra l’umano e il non-umano.

Riflettendo su questa semplice pagina della storia dell’umanità, quale lezione dovremmo trarre? Almeno una, a mio avviso: non confondere il diverso con il nemico. Questo, ahimè, è stato il peccato originale di cui ancora oggi facciamo fatica a liberarci. È possibile? Certamente! Come? Facendo ricorso abituale alla ragione, di cui tutti dovremmo avere i germi fondamentali. 

Lino Sartori | Filosofo


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